Chiesetta di Piedigrotta - Pizzo Calabro

piedigrotta-3Al centro dello splendido scenario del Golfo di Sant'Eufemia, nel territorio napitino, vi è una piccola grotta che offre al visitatore uno spettacolo unico nel suo genere. La chiesetta di Piedigrotta tra mito e leggenda, è il primo monumento in Calabria per continuità e numero di presenze ogni anno, e già da ben 3 anni supera di molto i famosi Bronzi di Riace. Arte, religione, antropologia e cultura, un mix perfetto che ha permesso di rendere nel tempo "A Madonneja" uno dei luoghi più belli e amati in tutto il mondo. Dalla statale 522, scendendo per la scalinata in granito locale ci si incammina lungo un sentiero che costeggia il meraviglioso Basso Tirreno. Lungo il breve tratto si possono ammirare le due sponde del Golfo ed una scogliera arenacea che non conosce eguali. La risacca del mare cristallino accompagna il visitatore giù alla chiesetta, "preparandolo" allo scenario che solo questo posto sa offrire. Dalla continua e nuda roccia piena di conchiglie, si passa ad una serie di profondità, bene articolate e complesse, con vari gruppi di statue, affreschi e chiaroscuri, che creano all'interno della grotta atmosfere cangianti e mistiche, che variano in base all'inclinazione dei raggi solari che filtrano all'interno grazie a delle "finestre-aperture" che sembrano ben studiate dai bravissimi e devoti scalpellini.

Tra Storia e Leggenda

Quando finisce la prima ed inizia la seconda... quello che si narra, che viene tramandato da centi­naia di anni e che, secondo i reperti risulta veritie­ro, è la storia del nubifragio avvenuto verso la metà del `600. Durante il viaggio di ritorno, lungo le co­ste napitine, un veliero con equipaggio napoleta­no, fu sorpreso e travolto da una violenta tempesta. Il comandante, che teneva nella propria cabina il quadro della Madonna di Piedigrotta, insieme con i suoi uomini fece un voto alla Vergine. In caso di salvezza, i superstiti avrebbero eretto una cappella al quadro miracoloso. Il veliero andò distrutto con­tro la scogliera di Pizzo, il carico, presumibilmente di corallo, perso negli abissi, ma tutto l'equipaggio col suo comandante toccarono riva sani e salvi, ed insieme con loro sulla spiaggetta, dove ora sorge la chiesetta, approdarono anche il quadro dell'Effige Sacra e la campana di bordo datata 1632. Gli scalpellini del luogo, che si recavano in quel­la zona per tagliare i blocchi non di "tufo", ma di calcarinite calcirudite organogena (che servivano nel campo edilizio), posero il quadro in una grot­ta già esistente (quella dove oggi c'è il bar). Quel­la stessa grotta che loro usavano solitamente per ripararsi in caso di pioggia.

Si esclude, come ripor­tato in molti testi, la presenza dei pescatori locali, in quanto nella zona interessata (che non era colle­gata con nessuna strada carrozzabile col paese, ma solo con un piccolo e tortuoso sentiero), erano pre­senti solo le cave di calcarinite e non un rifugio o spiaggetta di pescatori. I primi in questo campo a "colonizzare" la zona ad un centinaio di metri più avanti dalla chiesetta, arrivarono solo verso il 1952, dando il nome alla spiaggia adiacente a quella di Piedigrotta, detta ancora oggi "spiaggia Malfarà", che prese il nome dal primo pescatore che vi si insediò, appunto Bruno Malferà, al quale storpiarono il cognome in Malfarà. Si narra che altre due mareggiate successive, rubarono il quadro miracoloso da dove era stato sistemato, adagiandolo nel punto esatto in cui fu rinvenuto la pri-ma volta dopo il famoso naufragio. Gli scalpellini capirono il volere della Madonna ed esattamente di fronte al rinvenimento nella nuda e liscia roccia cominciarono ad ingrandire una grotta naturale ivi esistente e conosciuta, con apertura più in alto. Scavarono a colpi di piccone la nuova residenza dell'Effige Sacra, ampliandola di volta in volta in caso di pioggia, dall'abside (antro naturale) verso il mare. Infatti, non potendo lavorare alle cave col brutto tempo, gli scalpellini passavano le loro ore picconando all'interno di Piedigrotta per ingrandire sempre di più la chiesa. Ciò viene testimoniato anche dai segni delle picconate, diversi di modo e periodo storico.

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